Riflessioni e questioni relative alla gestione della pandemia. Premesso che le considerazioni che seguono si basano sulle informazioni desumibili da quanto circolato in questi giorni sulla APPlicazione “IMMUNI” ed il relativo dibattito, è legittimo chiedersi perché si stia privilegiando un sistema in grado di individuare “con chi” il cittadino ha mantenuto (o ha infranto) il minimo del distanziamento sociale (volontariamente o involontariamente) piuttosto che conoscere il “dove” i cittadini hanno condotto la loro esistenza e quindi hanno avuto i loro contatti in distanziamento sociale e non. La domanda è lecita assumendo che sia garantito il più assoluto rispetto della anonimia dei dati personali fatto salvo quanto previsto dalla nostra Costituzione italiana e da eventuali altre legislazioni sovranazionali.
Il “con chi?” fornisce una risposta che si sostanzia in un elenco di numeri di telefono riferentesi a chi ha attivato la APPlicazione (quindi soggetti potenzialmente proprietari dell’apparato, certamente indossatori dello stesso durante la fase di rilevazione) che indica con quante e quali altri apparati (telefonini con APPlicazione attiva) il numero telefonico è venuto in contatto. Lo scopo ultimo è quello di intervenire sul potenziale contagiato avviando procedure sinora non note.
La APPlicazione, come si evince, registra i dati di tutti (gli utenti) e permette a chi è preposto di intervenire sul singolo (utente). Tutto si svolge in assoluto anonimato del dove è avvenuta la prossimità. Non si potrà mai sapere se la prossimità è avvenuta alla fermata autobus, nella fila al supermercato, in ascensore, nel mezzo di trasporto, nel parcheggio, in un negozio, nella sala d’aspetto del medico, o perché si è lasciato il cellulare nell’ingresso del proprio appartamento mentre sul pianerottolo stazionava qualche sconosciuto, non si saprà in quale comune, in quale quartiere e, quando si riapriranno le regioni, in quale regione. Ovviamente almeno sino a quando non si interroghi il portatore del contagio e chi ha ricevuto il segnale sul proprio telefono.
Il “dove?” fornisce un elenco di punti (eventualmente anche di percorsi) su di una carta geografica nei quali si è transitato, che sono stati frequentati e dove l’indossatore dell’apparecchio con una adeguata APPlicazione ha svolto una qualche attività. Tutti questi punti possono ovviamente essere registrati garantendo l’anonimato. Conoscendo la localizzazione degli utenti della APPlicazione si conosce la loro posizione, la densità di utenti per area geografica (Comune, quartiere, strada, vicinato, parcheggio, shopping center, mezzo di trasporto, etc.). Il contagiato può essere tracciato nei suoi spostamenti, se si deroga dall’anonimato dei dati, così come si possono conoscere tutti coloro i quali si sono trovati in sua prossimità.
Non è scopo di questa riflessione e domanda quello di presentare, promuovere e valutare APPlicazioni; si evita quindi di entrare in aspetti tecnici (quale bluetooth, GPS, intensità del segnale, velocità di trasferimento, etc.) ed altri aspetti quali ad esempio la disponibilità di dati sulla geolocalizzazione già registrati ed esistenti presso vari soggetti che pure dovrebbero essere presi in seria considerazione in quanto disponibili.
Lo scopo della riflessione è quello di evidenziare che una componente essenziale della epidemiologia e della gestione delle emergenze è l’indirizzo geografico cioè la conoscenza del “dove?” il luogo (comunque descritto) più accurato e preciso dove qualcuno è posizionato in presenza di un evento (ad es. una potenziale esposizione al rischio) . Il dove è una coordinata geografica, un indirizzo, un numero civico, un’area etc., sapendo il dove si sa anche con chi e con che cosa (sia esso potenzialmente nocivo o positivo) i soggetti localizzati hanno una relazione di prossimità.
Perché non utilizzare la informazione “dove?” e poi anche “chi?” invece di raccogliere solamente “con chi?”? Tutti gli aspetti di riservatezza, protezione dei dati e quanto altro sono perfettamente identici. Si potrebbe approfondire l’aspetto tecnico trovando ulteriori vantaggi della conoscenza del dove, quali ad esempio la dislocazione delle strutture di assistenza sul territorio, la ottimizzazione dei percorsi, etc. Ma non è questa la sede.
Il Dr. John Snow durante la epidemia di tifo a Londra nel 1854 riportò su di una mappa la residenza dei casi di tifo. Notando l’addensarsi dei malati intorno ad alcune fontane pubbliche si capì la causa della epidemia. La mappa ovviamente era tale da permettere di vedere esattamente dove si trovavano le fontane.
Un invito a tutti a contribuire a trattare l’argomento ed un invito speciale a qualcuno. Se qualcuno ha conoscenza di una cartografia a livello di sezione di censimento dei dati di questa pandemia del COVID 19 è pregato di condividerla.
Grazie.
Mauro Salvemini
(già responsabile del LABSITA, Laboratorio di Sist. Inf. Territoriali e Ambientali- Sapienza, Università di Roma)